Pagina: un pò di storia…

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Rivolta di Trieste

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Rivolta di Trieste, manifestanti italiani devastano la sede del “Fronte per l’Indipendenza del TLT” e ne incendiano il mobilio.

La rivolta di Trieste è la definizione data ai moti triestini del novembre 1953, che vennero duramente repressi dalla Polizia civile alle dipendenze del Governo militare alleato (GMA), la forza di amministrazione militare alleata angloamericana al cui capo sedeva il generale britannico Thomas Willoughby Winterton.

novembre 1953 a Trieste

I RAGAZZI DEL ’53 Cinquant’anni fa Trieste visse un autunno intriso di speranza ma colorato di sangue. Si era agli ultimi momenti del governo militare alleato, il ritorno dell’Italia a Trieste sembrava cosa fatta, ma fra il 4 e il 6 novembre del 1953, la piazza si animò e, da una situazione di dissidio che, probabilmente, poteva essere controllata, si giunse allo scontro.

Sei triestini: Addobbati, Paglia, Montano, Zavadil, Manzi e Bassa, persero la vita. Numerosi furono i feriti. Qualcuno venne arrestato. Altri, per evitare che ciò accadesse, furono allontanati dalla città proprio grazie al pronto intervento della Lega Nazionale. Si era al culmine di un decennio tremendo e tremendo fu quel novembre di cinquant’anni fa. In occasione del Cinquantenario del ritorno di Trieste all’Italia il Presidente della Repubblica ha insignito della Medaglia d’Oro al Valore Civile i 6 triestini che hanno dato la vita per la patria in quei giorni del ’53.

Contesto storico – Con la fine della II guerra mondiale l’Italia perse una regione del proprio territorio nazionale: la Venezia Giulia. Nel capoluogo Trieste, e nel territorio immediatamente circostante, fu stabilito nel 1947 dal Trattato di pace che dovesse sorgere il TLT, Territorio Libero di Trieste: uno stato indipendente sotto l’egida dell’ONU, che ne avrebbe nominato il Governatore. Tuttavia, nonostante ne fosse stato redatto e ratificato lo Statuto, a causa dei veti incrociati tra gli ex Alleati non si riuscì a trovare un accordo su quale Governatore nominare, così il Territorio rimase diviso in due zone: la Zona A, governata dal Governo Militare Alleato, e la Zona B, sotto amministrazione militare jugoslava. Per nove anni le diplomazie italiane e jugoslave lavorarono per ottenere l’intero Territorio, creando così una situazione di stallo.

Trieste novembre 1953

Filmati d’epoca degli scontri avvenuti nel novembre del 1953 a Trieste tra manifestanti e le truppe della BETFOR.

Nell’estate 1953 una svolta: il governo italiano schiera le truppe al confine, Tito risponde con movimenti militari e i due eserciti si fronteggiano portando l’Europa a un passo dalla guerra. Gli Alleati provano a lavorare per una divisione del Territorio fra i due paesi, ma complicano ulteriormente la situazione pubblicando la nota bipartita: una dichiarazione nella quale assumono l’impegno di cedere l’amministrazione civile della Zona A al Governo Italiano.

Di fronte alla reazione del maresciallo Tito, che si prepara a invadere Trieste, gli Alleati interrompono l’applicazione della nota bipartita suscitando vive proteste da parte italiana.

Svolgimento della protesta – Il 3 novembre, a Trieste, in occasione dell’anniversario dell’annessione della città all’Italia nel 1918, il sindaco Gianni Bartoli contravviene al divieto del generale Winterton esponendo la bandiera tricolore dal pennone del Municipio, ma subito ufficiali inglesi intervengono per rimuoverla e requisirla.

Il 4 novembre i manifestanti di ritorno dal sacrario di Redipuglia improvvisano una manifestazione per l’italianità di Trieste. La Polizia Civile, guidata da ufficiali inglesi ma composta da triestini, interviene duramente per sequestrare la bandiera dei manifestanti: ne seguono violenti scontri, che in pochi minuti si propagano in tutta la città.

Il giorno dopo, il 5 novembre, gli studenti proclamano uno sciopero e manifestano di fronte alla chiesa di Sant’Antonio. Al passaggio di una vettura della Polizia Civile, con a bordo un ufficiale inglese, danno vita a una sassaiola. L’ufficiale affronta i manifestanti ma viene strattonato e gettato a terra sulle scale della chiesa. Interviene allora il nucleo mobile della Polizia Civile, creato proprio in previsione di queste giornate, che disperde i ragazzi che si rifugiano dentro la chiesa, dove vengono inseguiti e malmenati violentemente. Il vescovo Antonio Santin stabilisce per il pomeriggio la cerimonia di riconsacrazione del tempio: partecipano migliaia di cittadini, e all’arrivo delle camionette della Polizia nascono nuovi incidenti. L’ufficiale inglese apre il fuoco, e i poliziotti ne seguono l’esempio: muoiono Piero Addobbati e Antonio Zavadil, mentre decine di altri ragazzi vengono feriti. I segni dei proiettili resteranno visibili su due lati della chiesa fino alla ristrutturazione del 2012.

Il 6 novembre la città è attraversata da una folla immensa, decisa ad attaccare tutti i simboli dell’occupazione inglese: sono date alle fiamme auto e motociclette della Polizia, e viene messa a ferro e fuoco la sede del “Fronte per l’Indipendenza del Territorio Libero di Trieste”.

I manifestanti giungono in Piazza Unità d’Italia e tentano di assaltare il Palazzo della Prefettura, sede della Polizia Civile. Gli agenti reagiscono sparando sulla folla, ferendo decine di persone e uccidendo Francesco Paglia, Leonardo Manzi, Saverio Montano ed Erminio Bassa.

Questo episodio costringerà le diplomazie a trovare una soluzione: undici mesi dopo, nel 1954 con il Memorandum di Londra il Territorio viene spartito fra Zona A, assegnata all’amministrazione civile Italiana, e zona B, assegnata all’amministrazione civile della Jugoslavia.

Vittime

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Reazioni in Italia – L’8 novembre si svolsero, nella Cattedrale di San Giusto, i funerali delle sei vittime. Al corteo funebre partecipò la quasi totalità della popolazione di Trieste.

Nello stesso giorno si tenne una cerimonia a Roma, a Santa Maria degli Angeli, con la presenza di tutti i ministri del Governo Pella ai quali era stata vietata da Winterton la partecipazione ai funerali triestini. Gli Alleati accusarono “agitatori italiani” di aver provocato gli incidenti per costringere Winterton a chiedere l’intervento delle truppe italiane.

Commemorazioni – Per i 50 anni è stato pubblicato dalle edizioni Italo Svevo di Trieste “I Ragazzi del ’53”, all’Università di Trieste è stata dedicata una targa a Francesco Paglia, studente universitario, inoltre è stata richiesta dalla Lega Nazionale, dalla Provincia di Trieste e dal comune di Trieste al presidente della repubblica una medaglia d’oro al valor civile ai caduti, come ultimi martiri del Risorgimento italiano. La richiesta è stata accolta dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi l’11 ottobre 2004 con la seguente motivazione:

Animato da profonda passione e spirito patriottico partecipava ad una manifestazione per il ricongiungimento di Trieste al Territorio nazionale, perdendo la vita in violenti scontri di piazza. Nobile esempio di elette virtù civiche e amor patrio, spinti sino all’estremo sacrificio. Trieste 5-6 novembre 1953.

In occasione dei 60 anni, la Lega Nazionale ha curato la pubblicazione di un saggio storico di Michele Pigliucci, intitolato “Gli ultimi martiri del Risorgimento – Gli incidenti per Trieste italiana del novembre 1953”, presentato da Ivan Buttignon e dal presidente della Lega Nazionale avv. Paolo Sardos Albertini a Trieste, nella Galleria Tergesteo, il 20 ottobre 2013. Nella stessa occasione sono stati presentati il libro di Paolo Sardos Albertini e Piero Delbello “La Lega Nazionale e i ragazzi del ’53”, da Diego Redivo, e il libro di William Klinger “Il terrore del popolo: storia dell’OZNA”, da Lorenzo Salimbeni.

Seconda guerra mondiale: il salvataggio degli ebrei in Jugoslavia e Dalmazia

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Seconda-guerra-mondiale-il-salvataggio-degli-ebrei-in-Jugoslavia-e-Dalmazia-183335

Erano circa 78 mila gli ebrei che vivevano nei territori dell’allora Regno di Jugoslavia quando il 12 aprile 1941 i nazisti entrarono a Belgrado. La maggior parte fu vittima dell’Olocausto, ma alcune migliaia si salvarono grazie all’esercito italiano. Un libro ricostruisce la vicenda

30/10/2017 –  Diego Zandel
Durante la Seconda guerra mondiale, nelle zone della ex Jugoslavia occupate da italiani e tedeschi, gli alleati croati ustascia di Ante Pavelić non furono certo inferiori per ferocia ai nazisti nei confronti degli ebrei (e dei serbi e dei rom). Anzi, in taluni casi – escluso l’uso, dei forni crematori – furono peggiori.I massacri erano tali che allo scopo di indicare il disagio che questi procuravano alle forze di occupazione, obbligate a non intervenire per porre termine ad essi “era stato deciso di non issare più le bandiere italiana e germanica davanti al comando ustascia”. Di più, ci furono operazioni da parte dell’esercito italiano che, in barba alle leggi razziali, furono decisamente mirate in Dalmazia a salvare gli ebrei dalla persecuzione sia dai massacri degli ustascia che dall’avvio ai campi di sterminio da parte dei nazisti.Una ricerca su questa pagina di storia poco conosciuta, al contrario di quella che giustamente riconosce la feroce repressione italiana delle popolazioni slovena e croata in obbedienza agli ordini impartiti dal generale Mario Roatta, è stata compiuta dallo zaratino Gino Bambara, storico, ma che ha anche partecipato agli eventi del Secondo conflitto mondiale in Grecia e Jugoslavia come ufficiale della divisione di fanteria Murge.
Gino Bambara, Židov, Mursia editore, pag.374, €. 23,00

Ne è uscito un libro di grande interesse, ben documentato e scritto, dal titolo “Židov”, cioè ebreo, che era poi il marchio di riconoscimento di colore giallo imposto dagli ustascia sul braccio degli ebrei, edito da Mursia nella collana “Testimonianze fra cronaca e storia” dedicata a “Trieste e la questione dalmata-istriana”, che conta ormai una dozzina di titoli.

Il sottotitolo di “Židov” è esplicito della ricerca: “Il salvataggio degli ebrei in Jugoslavia e Dalmazia e l’intervento della II armata 1941-1943”, che rivela anche la complessità dell’animo umano, stando al fatto che lo stesso generale Roatta a cui va ascritta l’accusa di aver dato il via a criminali e vergognose azioni di repressione in Slovenia e Croazia, si è viceversa rivelato un sostenitore del salvataggio degli ebrei con l’accortezza di non mandare gli ebrei in Germania, come Mussolini accondiscendendo a una richiesta tedesca aveva ordinato, trovando il modo di trattenerli in più sicure località delle isole dalmate secondo criteri di indubbia umanità.

Ciò produsse ben presto, sulla questione degli ebrei rifugiati, una serie di relazioni diplomatiche molto difficili con i tedeschi “come si arguisce da una nota di Ribbentrop del 26 settembre 1942, rivolta all’ambasciatore a Zagabria Kashe, attinente agli aspetti politici, economici e militari dei rapporti tra le potenze dell’Asse e tra queste e la Croazia nei territori occupati. Si riteneva che le norme anti-ebraiche fossero state applicate soltanto nella Croazia settentrionale e che, al contrario, nel sud la decisione di Mussolini non avesse avuto ancora seguito”.

Una decisione alla quale lo stesso Mussolini, di fronte alle argomentazioni del generale Robotti che si rivolse al duce dicendogli espressamente di essere contrario, per ragioni umanitarie, alla consegna degli ebrei, venne meno consigliando tecniche dilatorie come quelle, ad esempio, di dire ai tedeschi di non avere “imbarcazioni per trasportarli via mare fino a Trieste, dato che via terra non è possibile farlo”. Era stata quindi un’operazione, quella del salvataggio degli ebrei in Dalmazia, che aveva avuto risvolti più ampi di quelli limitati alla buona volontà di pochi. Anche se, naturalmente, ci fu chi, come ad esempio il comandante della II Armata, Giuseppe Pièche, generale dei carabinieri, dopo la guerra ricevette una citazione speciale da parte dell’Unione delle Comunità ebraiche d’Italia per i suoi sforzi coraggiosi a favore degli ebrei.

Gino Bambara nel suo libro riporta molte testimonianze di ebrei croati salvati dagli italiani, di qual era la loro vita nei diversi campi di raccolta, considerato che erano concentrati in alberghi, palazzi, edifici adiacenti, in cui poter assicurare il funzionamento di tutti i servizi necessari alla vita degli internati, trattati sempre per il meglio anche se in tempi di penuria: avevano ad esempio, per quanto riguarda la distribuzione del cibo, il trattamento alla pari di quello dei soldati italiani. Per il resto erano liberi di circolare e senza obbligo di rispondere ad appelli quotidiani.

Naturalmente c’era anche chi, tra gli italiani, vedevano con poca simpatia questo salvataggio. Ad esempio il generale Ugo Cavallero, filo-tedesco, tanto da far temere al filo-ebraico Roatta che quello non attendesse altro che “l’occasione per accusarlo di sedizione a causa di qualche suo ordine imprudente”.

Alla fine, la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943 e, poche settimane dopo, l’8 settembre dello stesso anno, con la firma dell’armistizio, cambiò tutto. Sicuramente, però, quanto era stato fatto fino ad allora contribuì a salvare molti ebrei dai campi di sterminio. Ad esempio, degli ebrei internati ad Arbe sopravvissero alla guerra in 2180, ai quali sono da aggiungere quelli che dopo il luglio 1943 si trasferirono in Italia con il consenso delle nostre autorità.

Il 15 settembre 1947 e la perdita dell’Istria

L’entrata in vigore del Trattato di Pace firmato il 10 febbraio

http://www.10febbraio.it/istria-e-italia-un-secolo-di-amore/

Articolo pubblicato su Il Giornale d’Italia 

di Lorenzo Salimbeni

Il 10 febbraio 1947, giorno in cui l’Italia firmò a Parigi il Trattato di Pace, è una data che ha assunto una certa notorietà presso l’opinione pubblica italiana anche per l’istituzione del Giorno del Ricordo proprio il 10 febbraio, laddove meno celebrata è la ricorrenza del 15 settembre 1947: si tratta della giornata in cui quel vero e proprio diktat imposto all’Italia dalle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale entrò in vigore. Al momento della firma non si sapeva ancora quando avrebbe preso effettiva efficacia, dovendo essere ancora ratificato da tutti i contraenti ed in questi sette mesi si consumarono altre tragiche pagine di storia del confine orientale italiano.

Ricordato che tale trattato internazionale aveva ricadute anche sugli italiani di Briga e Tenda (cedute alla Francia) nonché su quelli trapiantati nelle colonie e nel Dodecaneso (restituiti rispettivamente all’indipendenza – pur con l’Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia nel 1950-‘60 – ed alla Grecia), nei mesi in cui si perfezionò avvenne soprattutto l’esodo biblico da Pola, sotto Governo Militare Alleato. Proprio il fatto di non sapere quando esattamente sarebbe entrato in vigore il Trattato fece infatti sì che le operazioni di abbandono del capoluogo istriano si svolgessero in maniera particolarmente accelerata, con la motonave Toscana che ininterrottamente trasportava la quasi totalità dei 32.000 polesani ad Ancona e a Venezia. Umili masserizie e la bara contenente le spoglie di Nazario Sauro, famiglie con donne, vecchi e bambini di tutte le estrazioni sociali e politiche affollavano la banchina del porto istriano per imbarcarsi e manifestare con i fatti la voglia di appartenenza all’Italia che non poterono esprimere con un plebiscito, da più parti invocato, ma mai concesso, nonostante il principio di autodeterminazione dei popoli che ostentavano le potenze vincitrici del recente conflitto. All’arrivo nella penisola li attendevano treni di carri bestiame che li avrebbero condotti ai miseri Centri Raccolta Profughi ovvero all’oltraggiosa sosta alla stazione di Bologna, ove i ferrovieri sindacalizzati dalla Cgil impedirono che le associazioni umanitarie fornissero un pasto caldo ai polesani del convoglio destinato alla caserma Ugo Botti di La Spezia.

Nel resto dell’Istria, del Carnaro e della Dalmazia destinati ad entrare nella Jugoslavia l’esodo del 90% della comunità italiana ivi residente da secoli non poté svolgersi altrettanto celermente, poiché le autorità jugoslave ponevano ostacoli all’esercizio delle opzioni previste dal Trattato, in spregio alle cui clausole gli optanti per la cittadinanza italiana si vedevano inoltre privati delle proprietà.

Ma nel frattempo avvenne anche il dibattito in Assemblea costituente, in cui le province di Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Zara, direttamente interessate dallo stravolgimento confinario, non avevano potuto eleggere i propri rappresentanti il 2 giugno 1946 (e tanto meno esprimersi nel Referendum istituzionale). Caddero nel vuoto le proteste dei padri costituenti giuliani eletti nel listone nazionale con i resti (Fausto Pecorari e Leo Valiani) così come le accuse di “cupidigia di servilismo” e di mancanza di spirito patriottico espresse da Vittorio Emanuele Orlando e da Benedetto Croce all’indirizzo dei diplomatici italiani che accettarono il diktat.

Solamente a fine agosto i vincitori del conflitto resero noto che il 15 settembre il trattato sarebbe entrato in vigore a tutti gli effetti. Quel giorno il comandante della guarnigione britannica di presidio a Pola, ormai deserta, cedeva le chiavi della città al collega jugoslavo, Gorizia poteva celebrare il ritorno entro i confini italiani e muoveva i primi passi il progetto del Territorio Libero di Trieste, diviso in zona A (il capoluogo giuliano sotto Governo Militare Angloamericano) e B (i distretti di Capodistria e di Buie sotto Amministrazione militare jugoslava), ma che mai si costituì ufficialmente causa la mancata indicazione del Governatore all’unanimità fra le potenze vincitrici del conflitto, ormai già attraversate dalla dialettica della Guerra fredda.

Lorenzo Salimbeni

Foibe: è bene che i giovani ne siano informati

articolo: http://www.valtellinanews.it/index.php/articoli/foibe-e-bene-che-i-giovani-ne-siano-informati-20171003/

04 ottobre 2017 – Regione Lombardia approva una mozione il cui contenuto è destinato a docenti e studenti lombardi perché approfondiscano le ragioni e i contorni di un eccidio di italiani inermi perpetrato .dai comunisti titini in Dalmazia e Istria.

mappa foibe

La mozione votata, martedì 3 Ottobre, dopo la legge regionale del 14 Febbraio 2008, è sicuramente un altro atto importante che sottolinea il valore del ricordo delle vittime delle foibe.

«Le parole dette oggi dall’assessore Valentina Aprea sulla poca sensibilità di molti docenti a voler affrontare l’eccidio dei dalmati istriani e della poca sensibilità delle scuole nella giornata del ricordo rafforzano ancor di più la nostra convinzione che tanto ancora c’è da fare», ha osservato Riccardo De Corato, capogruppo di Fdi in Regione Lombardia

La Regione ormai da 9 anni cerca di coinvolgere le scuole con un concorso che ricordi questo genocidio, ma per l’esponente di Fdi non basta. «Non ci va bene che sia facoltativa la partecipazione degli istituti al concorso: da qui nasce la nostra richiesta di un protocollo con l’Uffico Scolastico Regionale che porti alla realizzazione di un lavoro nelle scuole, che non si fermi solo al concorso ma rediga un percorso che analizzi la tragedia con interventi di approfondimento storico e culturale». 

«Non possiamo dimenticare che gli esuli si sentono ancora figli di un dio minore» queste sono le parole amare pronunciate quest’anno da Antonio Ballerin, il presidente della Federazione che raggruppa 5 delle 6 associazioni del mondo degli esuli istriani, fiumani e dalmati. Quindi, sempre per De Corato, è arrivato il momento che Regione Lombardia, come ha già fatto la regione Veneto, non si fermi a un semplice concorso ma intraprenda un percorso culturale e didattico al fine di dare la giusta importanza nelle scuole al genocidio del nostro popolo .

«Purtroppo nel nostro Paese – ha spiegato il Consigliere regionale – esiste ancora una vulgata culturale giustificazionista che sugli eccidi delle Foibe vuole sempre contestualizzare il momento come quasi a porre in essere una giustificata ritorsione di fatti precedentemente accaduti. Martedì 3 Ottobre, con il voto favorevole dell’aula, abbiamo ottenuto un impegno maggiore per far sì che quei professori poco attenti debbano spiegare agli studenti quei fatti tragici del Carso che videro migliaia di italiani trucidati dal regime comunista».

https://it.wikipedia.org/wiki/Rovigno

Rovigno (in croato Rovinj, in istrioto Ruvèigno o Ruveîgno, in tedesco Ruwein, in veneto Rovigno, in greco antico Ryginion, Ρυγίνιον) è una città di 14.367 abitanti dell’Istria sud-occidentale, in Croazia

La Galeb

Lo yacht presidenziale del Maresciallo Tito in visita a Taranto mentre attraversa il canale navigabile – Data: anteriore al 1989 anno in cui effettuò l’ultimo viaggio

File:Nave Galeb.jpg

info: https://it.wikipedia.org/wiki/Galeb_(yacht_presidenziale)

Il Galeb (serbo-croato cirillico: Галеб) fu il panfilo di rappresentanza del presidente iugoslavo Tito. La nave conosciuta anche come Nave della Pace di Tito veniva usata dal presidente iugoslavo nei suoi viaggi di stato all’estero, per missioni di pace e di amicizia e per i suoi frequenti spostamenti nell’Adriatico, in particolare per recarsi nel suo rifugio nell’isola di Brioni. Sul Galeb vennero intrattenuti numerosi uomini di Stato e molti personaggi famosi e a bordo Tito volle anche un piccolo zoo dove vi erano le tigri, dono del primo ministro indiano Nehru, e altri animali esotici, regalo del presidente egiziano Nasser. Lo yacht divenne anche un simbolo per i popoli che costituivano la Iugoslavia così come per molte nazioni del Movimento dei paesi non allineati e all’epoca era il 3° yacht più grande al mondo. Il nome Galeb in serbo-croato significa gabbiano.

La Galeb ormeggiata a Fiume

Galeb ormeggiata a Fiume - Rijeka2020.jpg

Link: https://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Galeb-la-nave-di-Tito-182432

data: 15/09/2017 – articolo diNicole Corritore

La nave Galeb, sulla quale tra il 1953 e il 1979 Tito ha ospitato decine di capi di stato, verrà ristrutturata con fondi europei e trasformata in museo multimediale a Fiume, Capitale europea della cultura 2020.

La leggendaria “Brod Mira Galeb” (Nave della pace, Gabbiano), residenza marittima del Maresciallo Josip Broz Tito dal 1953 al 1979, grazie al sostegno europeo diventerà museo multimediale e luogo di attrazione culturale turistica della città di Fiume, alla quale a marzo di quest’anno è stato conferito l’ambito titolo di “Capitale europea della cultura 2020  “. “La nostra intenzione è che la nave non diventi un mausoleo ma un luogo vivo e tematicamente legato alla storia contemporanea, uno spazio di costante discussione su ciò che accade attorno a noi”, ha dichiarato al quotidiano  Oslobodjenje  il direttore del progetto “Fiume – Capitale europea della Cultura 2020  ” Slave Tolj.

Nave “Galeb” in rovina all’ormeggio di Fiume – 

16 luglio 2014 – Alcune immagini che testimoniano le attuali condizioni dello yacht di Tito e altre storiche dei tempi in cui il dittatore utilizzava l’unità per i suoi spostamenti e soggiorni marini.

“Galeb” dallo splendore alla rovina – Nave “Galeb” in rovina all’ormeggio di Fiume

Risultati immagini per nave Galeb

L’emigrazione dei profughi giuliani in Sardegna e Oltreoceano

Fertilia – 1949 – Giuliani e Istriani in Sardegna

Fertilia (IPA: /ferˈtilja/) è una frazione di 2000 abitanti del comune di Alghero, nelle cui vicinanze è ubicato l’omonimo aeroporto. Dista 6 km dal centro di Alghero e circa 34 km da Sassari.

Il borgo di Fertilia nasce ufficialmente l’8 marzo 1936 con la posa della prima pietra della chiesa parrocchiale, ad opera dell’Ente Ferrarese di Colonizzazione, istituito dal presidente del Consiglio Benito Mussolini il 7 ottobre 1933 per dare una risposta alla popolazione in eccesso della Provincia di Ferrara e diminuire le tensioni sociali.

Dopo i primi arrivi di emigrati ferraresi, lo scoppio della Seconda guerra mondiale paralizzò di fatto l’opera di colonizzazione, tanto che la maggior parte degli edifici rimasero di fatto inutilizzati.

Nel dopoguerra saranno gli esuli di Istria e Dalmazia a popolare la borgata, diventando un microcosmo vicino a quello catalano di Alghero.

http://storiaefuturo.eu/lemigrazione-dei-profughi-giuliani-in-sardegna-oltreoceano/

Ereditando la tradizione veneta dei nuovi arrivati, la borgata è stata dedicata a San Marco e ivi campeggia un leone alato suo simbolo, proprio al centro del belvedere. Particolarità della borgata è che tutte le vie e le piazze richiamano luoghi o avvenimenti storici del Veneto e della Venezia Giulia.

Pola La Città Dolente anno 1949 

 “DOCUMENTI DELL’ESODO” 

Il direttore dell’Arena di Pola, Viviana Facchinetti (dal min. 25,50 circa), intervistata ora su Rai2 in un lungo servizio! Grazie Viviana per il cuore con cui racconti la storia dei Giuliano Dalmati

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Pagina: un pò di storia…ultima modifica: 2017-09-22T11:50:56+02:00da alessandro-54
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